Orsini (Confindustria): «Usiamo il fondo del Pnrr per aiutare le imprese colpite dai dazi»


di
Federico Fubini

Il presidente di Confindustria: «Facciamo come la Spagna, cambiamo gli incentivi. Ora un piano del governo»

Emanuele Orsini, da sette mesi presidente di Confindustria, ha passato la mattinata di ieri al Congresso della Lega. «Vado agli eventi di tutti i partiti a rappresentare gli interessi degli imprenditori: l’ho fatto con il Pd, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Azione e lo farei con il Movimento 5 Stelle se mi invitassero», chiarisce. Ma una proposta per il governo ce l’ha: attingere ai fondi non utilizzati del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) e dei fondi di coesione per incentivare le imprese colpite dai dazi americani.

C’è un rischio di delocalizzazione delle imprese verso gli Stati Uniti per evitare le barriere tariffarie?
«È qualcosa che ci preoccupa, i dazi possono incentivare certe scelte. Ne parlo dal mio discorso d’insediamento, prima che arrivassero i dazi: è logico che un imprenditore vada dove trova meno complicato lavorare».




















































Ma pagare un 20% per accedere al mercato americano accelererà il deflusso?
«Qualcuno ci potrà anche pensare. Ma ai nostri associati pesano più le difficoltà in Italia e in Europa che ci creiamo da soli: burocrazia, costo dell’energia, regolamentazione. Per il resto in Italia c’è ancora tanta capacità di fare prodotti unici: trasferirsi negli Stati Uniti in molti casi semplicemente è impossibile. Pensi alla meccanica di precisione, alla moda, all’agrifood, all’alimentare e altri. Sono convinto che ce la potremo fare iniziando a ridurre le barriere interne».

Il consumatore americano vale il 18% del prodotto lordo del mondo. E ora sta dietro un muro. Finiamo in recessione?
«A Confindustria abbiamo rivisto le stime di crescita dell’Italia nel 2025 dallo 0,8% allo 0,6%. Banca d’Italia ha fatto lo stesso. Ma recessione, credo di no. Abbiamo una capacità di adattamento molto forte, se l’Italia reagisce e facciamo ciò che serve».

Che intende?
«Veniamo da 24 mesi di caduta della produttività, a cui ora si aggiunge l’incertezza generata dalla guerra commerciale. Come fa un imprenditore a investire così? Il primo punto, quindi, è che il governo presenti un piano industriale straordinario a due anni per gli investimenti dove si dica dove vogliamo andare. Come salvaguardiamo i prodotti che funzionano? Come assicuriamo la trasformazione delle imprese mature che hanno difficoltà dettate da norme sbagliate del passato recente? Come apriamo nuovi mercati in America Latina, in India, in Africa?»

Lei martedì vede Giorgia Meloni. Quali proposte porta a Palazzo Chigi?
«Credo che in Europa un po’ di sveglia serva. L’Unione europea pesa per il 13,4% del Pil mondiale e per il 7% delle emissioni. Intanto altre grandissime economie non si impegnano come noi e non praticano la nostra responsabilità sociale d’impresa. Io sono per la tutela dell’ambiente e la mia stessa azienda ci lavora molto. Ma sull’auto elettrica o i certificati verdi, su cui si è creata una speculazione finanziaria, è chiaro che c’è molto da cambiare».

Molti studi mostrano che le imprese più avanti nella transizione verde sono più competitive…
«Nessuno chiede a chi ha investito di tornare indietro. Ma come si fa a lasciare tutta questa incertezza in Europa sulle multe per l’auto elettrica? Così gli investimenti non arrivano. Quindi penso che l’Europa debba fare un passo indietro, dev’essere velocissima nel dare linee chiare: che ci si fermi, che gli obiettivi verdi oggi sono sospesi. Il tempo è scaduto».

La Spagna promette 14 miliardi di euro per le imprese danneggiate dai dazi americani e in Italia il ministro Giancarlo Giorgetti spiega che a noi il debito non ce lo permette. Giusto?
«La Spagna ha meno debito e cresce più di noi. Ma dobbiamo fare un provvedimento analogo, in modo che i nostri imprenditori abbiano delle certezze e rinizino a investire».

Come?
«Ormai si è capito che il piano Industria 5.0 (6,3 miliardi di incentivi del Pnrr agli investimenti in digitale e ambiente) non funziona. È inutile che continuiamo a spingere su una misura che, se siamo fortunati, assorbirà due miliardi in tutto. Il Pnrr è stato pensato per abbattere le emissioni, ora invece l’obiettivo è salvare l’industria europea. Quindi con i soldi rimasti del Pnrr, come con quelli dei fondi di coesione – e sono davvero tanti – serve il coraggio di puntare sulle priorità di attuali».

Pensa a un nuovo piano di incentivi agli investimenti?
«Sì. Ma non al 5% o al 10%. Almeno al 30%. E con meccanismi di credito d’imposta semplici, senza troppa burocrazia, automatici. Altrimenti tante imprese medio-piccole non seguiranno».

L’Italia può avere il voto decisivo nel fissare delle ritorsioni severe nei confronti delle Big Tech americane, che magari scattino tra uno o due mesi se fallisce il negoziato. Che ne pensa?
«Per ora non ho visto proposte. Credo che lo spazio per negoziare ci sia, se si pensa alle forniture americane all’Europa nell’energia o nella difesa. Queste ultime ci saranno ancora indispensabili per anni. Come lo sono i satelliti e le licenze software americane. Sul tema fiscale delle Big Tech si può riflettere. Ma non credo che un negoziato muscolare abbia molto senso».

Il Canada l’ha fatto e ha strappato concessioni…
«In questa partita quelli che hanno più da perdere sono due: Germania e Italia. Non ce lo scordiamo».

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7 aprile 2025 ( modifica il 7 aprile 2025 | 07:14)



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