Gli aggiustamenti sono positivi, ma la visione non c’è. Serve essere pronti a competere in un nuovo scenario, in cui anche tra europei la concorrenza sarà molto più aggressiva
Sistemato, anche se all’ultimo momento, l’inghippo dell’acconto Irpef da armonizzare con il nuovo e definitivo regime a tre aliquote, restano molti adeguamenti da compiere per centrare gli obiettivi della delega fiscale. Serve inoltre un’estensione del programma di riforma, per tentare di competere nella sfida per l’attrattività. Il fisco, anche grazie a misure adottate da precedenti governi, ha offerto trattamenti vantaggiosi alle persone dotate di grandi patrimoni e disposte a trasferirsi in Italia. Le condizioni proposte sono tra le più convenienti in Europa. Per le imprese, però, non sembra esserci lo stesso fervore. Né per trattenere quelle nazionali, né per attrarne dall’estero. Ora che le condizioni dei conti pubblici hanno portato a un miglioramento del rating sovrano, la ritrovata stabilità offerta agli investitori in titoli dovrebbe essere estesa a chi scommette sul capitale di rischio.
Le aziende italiane hanno bisogno di investimenti e possono garantire buone prospettive di mercato, a condizione che non si comprometta tutto con una forma di instabilità interna, generata da regole fiscali confuse, non orientate al sostegno degli investimenti innovativi, perdenti nel confronto con le migliori condizioni proposte da altri paesi europei. Gli stessi errori che frenano l’Industria 5.0 o che appesantiscono gli esperimenti di favore fiscale nel Mezzogiorno. Alle imprese, sia la manovra sia la parte finora attuata della delega fiscale, hanno tolto qualche prelievo, ma compensando con il peggioramento di altri. Misure come la decontribuzione per alcuni livelli reddituali del lavoro dipendente portano benefici temporanei alle aziende, sono costose e non incentivano la ricerca né lo sviluppo di nuove prospettive tecnologiche. E’ su quel fronte che si gioca la partita vera. E con il riassetto in corso delle rotte della globalizzazione, bisogna essere pronti a competere in un nuovo scenario, dove anche – e forse soprattutto – tra europei, la concorrenza sarà molto più aggressiva.
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