Insurance Trade | Alla scoperta del decreto cat nat


Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo che costruisce il quadro regolamentare della copertura obbligatoria per le imprese sulle catastrofi naturali, dal prossimo 31 marzo il mercato assicurativo dovrà farsi trovare pronto. Tante le questioni poste dalla norma, come spiega l’avvocato Maurizio Hazan in quest’approfondita analisi

Si è finalmente completato il quadro normativo che contiene la disciplina dell’obbligo di assicurazione dei rischi catastrofali da eventi naturali. Tale obbligo, introdotto dalla legge 213/2023 (Legge di Bilancio per l’anno 2024) può dirsi finalmente attuato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (il 27 febbraio scorso) del decreto ministeriale 18 del 30 gennaio 2025, avente a oggetto la regolamentazione di dettaglio e operativa dei nuovi impegni di copertura.

Si trattava, e si tratta, di una partita importante anche sul piano politico non potendo ipotizzarsi di procrastinare troppo la completa realizzazione di un progetto di copertura che, avviatosi in pompa magna l’anno scorso anche sulla scia dei gravi eventi alluvionali recentemente registratisi, non avrebbe dovuto essere differito troppo rispetto alla data di decorrenza dell’obbligo, originariamente prevista per il 31 dicembre 2024 (correndo il rischio di andare incontro a nuovi eventi senza che il set di tutele assicurative fosse stato messo a punto). 

Tale data è stata perciò spostata in avanti, ma soltanto di poco e precisamente al 31 marzo 2025 (per effetto della recente conversione in legge (15/2025) del decreto Milleproroghe (dl 202/2024), in modo tale da consentire al dm attuativo di vedere la luce in tempo utile per far sì che il mercato assicurativo si facesse trovare pronto ad assolvere alla bisogna, adeguando le proprie soluzioni di copertura alle prescrizioni di legge. Non è stato peraltro facile trovare la quadratura regolamentare, dal momento che la copertura assicurativa degli eventi catastrofali è operazione complessa, che pone svariati problemi di sostenibilità tecnica tipica dei rischi dimensionalmente straordinari, quali quelli indicati dall’articolo 1912 del Codice civile. Tale norma, non a caso, esclude dal perimetro naturale delle coperture del ramo danni gli eventi derivanti da guerra, terremoti, insurrezioni e tumulti popolari, lasciando alla libera negoziazione delle parti l’eventuale inclusione di quei rischi in garanzia.

MUTUALITÀ E CONDIVISIONE DEL RISCHIO

Il tema si pone, invero, qui in termini di ancor maggiore complessità, dal momento che il legislatore, per gli eventi naturali, ha addirittura ribaltato l’impostazione codicistica, prevedendo in capo alle imprese assicurative del ramo 8 (alle condizioni che vedremo in seguito) un vero e proprio obbligo a contrarre, pesantemente sanzionato in caso di sua violazione o elusione. 

A fronte di una mutualità non adeguatamente dimensionata, e tutta da costruire, non risulta agevole disporre di requisiti di solvibilità e di capitale tali da poter adempiere all’obbligo a contrarre, previsto dalla norma primaria (articolo 1 commi 106 e 107), in modo tale da soddisfare le richieste di copertura comunque ricevute dalle imprese produttive di piccole, medie, grandi o grandissime dimensioni tenute ad assicurarsi per le catastrofi. Non ci troviamo, invero, qui di fronte a situazioni simili a quelle sottese all’altro grande (e assai più sostenibile) obbligo a contrarre posto a carico delle compagnie assicurative: quello della Rc auto, relativo a rischi assai più facilmente compensabile nell’ambito di una mutualità assai diffusa e ben distribuita all’interno della straordinaria platea degli utenti motorizzati della strada.

Si trattava dunque di provare a temperare l’impatto di questo generico obbligo a contrarre, potenzialmente insostenibile, con una regolamentazione secondaria in grado di aumentare gli spazi di libera negoziazione e così consentendo alle imprese assicurative di modulare i loro impegni in funzione della loro concreta disponibilità e soprattutto possibilità di prendere in carico quei rischi senza esporsi ai pericoli di default intimamente connessi alla portata straordinaria dei fenomeni catastrofali. 

Ovviamente il tema della sostenibilità tecnica ed economica di questi nuovi rischi era stato considerato nella stessa impostazione iniziale della legge, vuoi nella parte in cui (articolo 1 comma 103) ammette che le imprese di assicurazione possano offrire la copertura “sia assumendo direttamente l’intero rischio, sia in coassicurazione, sia in forma consortile mediante una pluralità di imprese”; vuoi prevedendo (articolo 1 commi 108 e 109) la compartecipazione della finanza pubblica attraverso l’intervento riassicurativo di Sace, che concederà alle imprese assicurative che abbiano aderito alla convenzione a tal fine stipulata una copertura massima del 50% degli indennizzi che saranno erogati in relazione agli eventi catastrofali obbligatoriamente assicurati. Ciò nei limiti di 5.000 milioni di euro per anno e con il supporto di una garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso (ma è appena il caso di osservare che la norma primaria aveva, inutilmente, stanziato la prima tranche già per il 2024, senza che oggi sia stato previsto un adeguamento temporale della previsione, in funzione del periodo di effettiva operatività dell’obbligo).

UNA PRIMA GUIDA

Ma pur con questi sostegni, i nuovi obblighi di copertura catastrofale richiedevano, per essere in concreto soddisfatti dal mercato assicurativo, una modulazione più elastica rispetto alla secca previsione di un obbligo a contrarre assoluto e indiscriminato. Ed è per questo che, come vedremo, il dm attuativo n. 18/2025 introduce numerose nuove regole di dettaglio, non sempre facilmente armonizzabili con le indicazioni contenute dalla legge primaria di riferimento.

Più in generale il citato decreto è stato previsto dall’articolo 1 comma 105 della legge 213 al fine di stabilire “ulteriori modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione di cui ai commi da 101 a 107, ivi incluse le modalità di individuazione degli eventi calamitosi e catastrofali suscettibili di indennizzo nonché di determinazione e adeguamento periodico dei premi anche tenuto conto del principio di mutualità e, sentito l’Ivass, le modalità di coordinamento rispetto ai vigenti atti di regolazione e vigilanza prudenziale in materia assicurativa anche con riferimento ai limiti della capacità di assunzione del rischio da parte delle imprese o del consorzio di cui al comma 103, e possono essere aggiornati i valori di cui al comma 104”.

Proprio nella profilazione dei limiti della capacità di assunzione del rischio da parte dei player assicurativi sembra collocarsi l’intervento contenitivo dei ministeri sul perimetro dell’obbligo a contrarre. 

Se si esclude la disciplina transitoria, il regolamento attuativo ci è stato consegnato senza modifiche rispetto alla versione già sottoposta al parere consultivo del Consiglio di Stato: parere che, reso il 29 novembre 2024 (affare n. 01424/2024), si era limitato ad alcuni blandi suggerimenti correttivi condividendo, per il resto, l’impostazione del decreto e le motivazioni di fondo sottese all’urgente conclusione dell’iter attuativo e alla concreta messa in opera delle prescritte coperture assicurative. 

Ciò detto, a livello di premessa, il fatto che il quadro normativo e regolamentare si sia oggi, sia pur faticosamente, composto ci consente, e comunque ci suggerisce, di provare a stendere una prima guida sintetica sugli adempimenti che occorre rispettare per mettersi in regola, tanto dal punto di vista delle imprese produttive (tenute ad assicurarsi) quanto da quello della parte del mercato assicurativo assoggettata all’obbligo a contrarre. Muoveremo dal perimetro soggettivo e oggettivo delle garanzie, analizzando anzitutto chi siano i soggetti tenuti ad assicurarsi.

CHI DEVE ASSICURARSI

Il dm 18/2025, riprendendo testualmente la formulazione dell’articolo 1 comma 101 della legge di riferimento, conferma che devono assicurarsi tutte le imprese con sede legale in Italia (e estere qui stabilite) che sono tenute all’iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2188 del codice civile, a esclusione delle sole imprese agricole. Qualche dubbio interpretativo si è però posto a fronte del richiamo al Codice civile e al fatto che nei lavori preparatori (dossier consultabili sui siti web di Senato e Camera) si è voluto precisare che “[…] non sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese i piccoli imprenditori (2202) ovvero i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (2083)”. Ciò potrebbe farci dire che non devono assicurarsi i piccoli imprenditori e comunque tutti coloro che si devono iscrivere alla sezione speciale del Registro. Tuttavia, la finalità che ha spinto il legislatore a introdurre tale obbligo è anche, e forse soprattutto, quella di tutelare le piccole realtà imprenditoriali, più esposte ai rischi catastrofali e sino a oggi meno assicurate. Un’interpretazione più razionale e preferibile della norma porta dunque a ritenere l’obbligo esteso a tutte gli enti comunque iscritti al Registro, in  qualsiasi sezione (ordinaria o speciale) e per qualsiasi finalità. In questa stessa direzione sembra potersi leggere quanto stabilito dall’articolo 7 che, nel regolare diversi limiti di indennizzo in funzione della diversa consistenza dei valori assicurati, disciplina il caso delle imprese le cui somme assicurate non superano il milione di euro. Valori, questi, che sembrano agevolmente riferirsi a figure imprenditoriali minori. 

Il dm in questione non si discosta, nei contenuti, dalla versione in bozza già precedentemente nota, in quanto sottoposta al parere del Consiglio di Stato; l’unico elemento di differenza sta nel regime transitorio previsto dall’articolo 11 per consentire al mercato assicurativo di conformare i propri prodotti ai contenuti obbligatori previsti dal legislatore. È stato così abbreviato (da 90 a 30 giorni) il termine previsto per adeguare a norma i prodotti di nuova commercializzazione, onde far sì che l’obbligo a contrarre possa essere assolto nel rispetto del citato termine del 31 marzo 2025.

LA DESCRIZIONE DEGLI EVENTI DA ASSICURARE

Gli eventi soggetti all’assicurazione sono quelli previsti dall’articolo 1 comma 101, e dunque le frane, i sismi, le alluvioni, le inondazioni e le esondazioni: si tratta di una elencazione tassativa che il dm (articolo 3) prova a definire in termini descrittivi. Così, quanto alle alluvioni, le inondazioni e esondazioni le stesse sono raggruppate in una definizione onnicomprensiva, che li descrive come “fuoriuscita d’acqua, anche con trasporto ovvero mobilitazione di sedimenti anche ad alta densità, dalle usuali sponde di corsi d’acqua, di bacini naturali o artificiali, dagli argini di corsi naturali e artificiali, da laghi e bacini, anche a carattere temporaneo, da reti di drenaggio artificiale, derivanti da eventi atmosferici naturali”. Le mareggiate e i maremoti anche severi non paiono rientrare in questo ambito, non dando luogo a fuoriuscite da “sponde o argini”. Così come le bombe d’acqua da intendersi come quei fenomeni improvvisi di elevata intensità che impediscono al suolo di drenare l’acqua.

Quanto al sisma, inteso come “sommovimento brusco e repentino della crosta terrestre dovuto a cause endogene, purché i beni assicurati si trovino in un’area individuata tra quelle interessate dal sisma nei provvedimenti assunti dalle autorità competenti, localizzati dalla Rete sismica nazionale dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) in relazione all’epicentro del sisma”. Per quel che riguarda le frane le stesse sono descritte come “movimento, scivolamento o distacco rapido di roccia, detrito o terra lungo un versante o un intero rilievo sotto l’azione della gravità, scoscendimento di terre e rocce anche non derivate da infiltrazioni d’acqua”, non paiono potersi ricomprendere maremoti e eruzione vulcaniche anche se conseguenti a terremoto.

LE QUESTIONI DELL’INTENSITÀ E DELL’IMPATTO

È opportuno segnalare come tali definizioni siano piuttosto aperte rispetto a quelle, assai più granulari, contenute nella prima bozza di dm inizialmente elaborata, la quale specificava in modo assai più analitico quali fossero gli eventi che non rientravano nelle categorie di legge. 

Rimane il fatto che quale che sia l’evento, il dm pone un limite temporale di tre giorni dalla prima manifestazione entro il quale la prosecuzione/continuazione/reiterazione di un dato fenomeno fa sì che lo stesso debba considerarsi come un unico episodio e, dunque, un unico sinistro (un solo evento, un unico massimale, un’unica franchigia/scoperto).

Non è invece chiaro quale debba essere l’intensità e l’impatto sulla popolazione per far sì che un dato evento possa ritenersi di portata davvero calamitosa e catastrofale e tale da far scattare la copertura. Potrebbero invero accadere terremoti o frane estremamente localizzati e tali da danneggiare soltanto qualche singolo immobile. In questi casi non parrebbero ricorrere gli estremi per evocare stati di calamità naturale, né tantomeno di catastrofe. 

Per quanto non espressamente richiamate, le dichiarazioni degli stati d’emergenza o di calamità provenienti dalle autorità competenti consentono certamente di ritenere integrata una delle fattispecie oggetto di copertura. In mancanza, potrebbero sorgere dubbi applicativi che nella precedente versione in bozza del dm sembravano fugabili proprio in forza del richiamo, ivi contenuto, ai provvedimenti della Pubblica autorità.

QUALI BENI SONO DA COPRIRE

Quanto ai beni da assicurare, la legge li individua riferendosi alle immobilizzazioni materiali di cui alla lettera B-II n. 1, 2, 3 dell’articolo 2424 c.c. Non vi rientrano le merci.

Il rinvio all’articolo 2424 c.c. va letto in modo finalistico e non stringente, e dunque in funzione dell’elencazione oggettiva ivi contenuta, alla quale occorre riferirsi per consentire una puntuale individuazione dei cespiti che dovranno rientrare nel perimetro obbligatorio di copertura se impiegati a qualsiasi titolo, per l’esercizio. Vi è da chiedersi se tali beni, per essere oggetto della garanzia di legge, debbano essere anche considerati dal punto di vista della loro destinazione, che parrebbe dover essere effettivamente e stabilmente correlata al concreto svolgimento dell’attività d’impresa. La riposta sembrerebbe doversi dare in termini affermativi, almeno secondo la ratio del dm attuativo e del dl 155/2024 (i quali, come meglio diremo, prevedono la copertura delle immobilizzazioni a qualsiasi titolo impiegate per l’esercizio dell’attività di impresa).

L’articolo 1 del dm 18/2025 li specifica nel dettaglio, fornendone la seguente descrizione:

  • terreni: fondi o loro porzioni, con differenti caratteristiche geografiche in relazione alla posizione e alla loro conformazione;
  • fabbricato: l’intera costruzione edile e tutte le opere murarie e di finitura, compresi fissi e infissi, opere di fondazione o interrate, impianti idrici ed igienici, impianti elettrici fissi, impianti di riscaldamento, impianti di condizionamento d’aria, impianti di segnalazione e comunicazione, ascensori, montacarichi, scale mobili, altri impianti o installazioni di pertinenza del fabbricato compresi cancelli, recinzioni, fognature nonché eventuali quote spettanti delle parti comuni;
  • impianti e macchinari: tutte le macchine anche elettroniche e a controllo numerico e qualsiasi tipo di impianto atto allo svolgimento dell’attività esercitata dall’assicurato;
  • attrezzature industriali e commerciali: macchine, attrezzi, utensili e relativi ricambi e basamenti, altri impianti non rientranti nella definizione di fabbricato, impianti e mezzi di sollevamento, pesa, nonché di imballaggio e trasporto non iscritti al Pra.

Qualora invece iscritti al Pra i veicoli non rientrano nel campo di applicazione della norma, a differenza di quanto era stato previsto in una delle prime versioni del decreto inizialmente confezionata. D’altra parte, le autovetture, secondo i principi contabili redatti dall’Oic gli automezzi dovrebbero rientrare nella voce B.II, n. 4 (altri beni), che non è richiamata dal legislatore. Come poc’anzi accennato sembra che si debba trattare di beni funzionali e dunque utilizzati al fine di consentire lo svolgimento dell’attività d’impresa dell’assicurato. 

COSA FARE IN CASO DI LEASING, LOCAZIONE, COMODATO

L’imprenditore, peraltro, potrebbe avvalersi di immobilizzazioni che sono di proprietà altrui, utilizzandole, ad esempio, in qualità di locatario, comodatario, usufruttuario e via discorrendo. Sarebbe in tal caso comunque obbligato ad assicurarle? La ratio della disposizione, volta a garantire sostegno e continuità alle attività imprenditoriali in casi emergenziali, fa propendere per la soluzione affermativa. Nonostante ciò, nel silenzio della legge 213, vi è chi ha sostenuto che il richiamo all’articolo 2424 c.c. e all’iscrizione delle poste in bilancio postuli la proprietà dei beni in capo all’imprenditore. Altre opinioni hanno invece ritenuto che il rinvio alla norma codicistica valga solo per individuare, per relationem, la tipologia dei beni oggetto di garanzia, senza in alcun modo richiamare la loro qualificazione bilancistica. Il dm sembra andare in tale direzione, privilegiando l’interpretazione finalistica estensiva, nella parte in cui prevede che debbano essere assicurate le immobilizzazioni “a qualsiasi titolo impiegate”. Tale specificazione induce a ritenere che l’obbligo non riguardi solo terreni, fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature industriali di proprietà ma anche quelli detenuti ad altro titolo (leasing, locazione, comodato) e ricomprenda anche fattispecie quali l’affitto e l’usufrutto d’azienda.

A conferma, piuttosto inequivocabile, di tale lettura vi è la previsione dell’articolo 1-bis de dl 155/2024 convertito in legge 189/2024 (Disposizioni finanziarie per la gestione delle emergenze) il cui comma 2 testualmente dispone che “l’oggetto della copertura assicurativa di cui all’articolo 1, comma 101, primo periodo, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, è riferito ai beni elencati dall’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3), del Codice civile, a qualsiasi titolo impiegati per l’esercizio dell’attività di impresa, con esclusione di quelli già assistiti da analoga copertura assicurativa, anche se stipulata da soggetti diversi dall’imprenditore che impiega i beni”. 

L’imprenditore dovrà dunque assicurare tutte le immobilizzazioni materiali di cui si avvale (e rientranti nell’elenco sopra descritto) anche se di proprietà di terzi, eccezion fatta nei casi in cui quei beni siano già stati coperti da una polizza di contenuto conforme agli obblighi di legge direttamente stipulata da altri soggetti (e, in particolare, da proprietario del bene, sul quale grava il rischio del suo perimento). In tal caso non avrebbe alcun senso gravare l’imprenditore di costi assicurativi sovrabbondanti (nell’ambito di garanzie che sarebbero poi assoggettate al regime indennitario di cui all’articolo 1910 c.c.). 

Potrà dunque accadere che il locatore (ad esempio di un capannone), pur senza essere obbligato a farlo, lo assicuri per il rischio cat nat, prima di darlo in locazione o comunque in uso all’imprenditore, e in tal caso questi sarà dispensato dalla copertura (i cui costi saranno ragionevolmente pesati all’interno del canone di locazione). Qualora invece non siano già assicurati, l’imprenditore dovrà provvedere in proprio, stipulando una copertura (e pagando un premio) nell’interesse del proprietario secondo lo schema previsto dall’articolo 1891 c.c. 

DANNI INDENNIZZABILI ED ESCLUSIONI

Ma veniamo alle tipologie di danno oggetto di garanzia. I danni indennizzabili sono quelli direttamente cagionati dalla forza dell’evento ai beni oggetto di copertura. Lo dice l’articolo 1 della legge 231 e lo conferma (non avrebbe potuto essere altrimenti) l’articolo 1 comma 1 lettera d) del dm attuativo. Fuoriescono pertanto dal perimetro obbligatorio di garanzia i danni che si sono prodotti in occasione dell’evento catastrofale ma non per effetto dello stesso, in base a un criterio di causalità materiale che potremmo definire adeguata (esempio: non sarebbe certamente in copertura il danno subito da un imprenditore a seguito di un furto di macchinari/attrezzature avvenuto dopo l’evacuazione dei locali in occasione di un sisma). Ma soprattutto non sono coperti i danni che, in gergo assicurativo, devono intendersi indiretti perché relativi a perdite di guadagno o di altre utilità connesse alla distruzione del bene. È il caso del danno della perdita di produttività a seguito di un’interruzione forzata dell’attività, quale fattispecie che potrebbe essere opportuno coprire con una garanzia aggiuntiva facoltativa (la cosiddetta business interruption). Ma sul tema dei possibili abbinamenti di coperture opzionali torneremo tra breve. Assai più precisamente, il dm regola le esclusioni di polizza, non coperte dalla garanzia obbligatoria. Così l’articolo 1, comma 3, nel silenzio della norma primaria, prevede che la polizza assicurativa non debba coprire:

a. i danni che sono conseguenza diretta del comportamento attivo dell’uomo o i danni a terzi provocati dai beni assicurati a seguito di eventi;

b. i danni conseguenza diretta o indiretta di atti di conflitti armati, terrorismo, sabotaggio, tumulti;

c. i danni relativi a energia nucleare, armi, sostanze radioattive, esplosive, chimiche o derivanti da inquinamento o contaminazione.

Non pare di facilissima comprensione l’esclusione di cui alla lettera a). Il comportamento attivo umano (da intendersi riferito non soltanto a persone fisiche ma anche a enti e persone giuridiche che comunque operano in esecuzione e per effetto di condotte e decisioni umane, ancorché talvolta collegiali) certamente non riguarda comportamenti omissivi. E dunque la mancata predisposizione di misure preventive di sicurezza o di protezione non sembra potersi iscrivere nel novero delle condotte attive, che possono invece ravvisarsi in azioni positive che abbiano avuto l’effetto di favorire o scatenare l’evento naturale (si pensi all’urbanizzazione di determinati territori senza le adeguate cautele o la costruzione di dighe o di fabbricati in contesti territoriali inadatti, con conseguente alterazione e compromissione dell’equilibrio idrogeologico dei luoghi e aumento della vulnerabilità degli stessi). 

Rimane da capire perché si è dovuto esplicitare l’esclusione dalla garanzia, del tutto naturale a parere di chi scrive, dei danni a terzi provocati dai beni assicurati a seguito di eventi. Quei danni a terzi evocano una ben diversa copertura della Rct dell’imprenditore per casistiche di danno ragionevolmente correlate al proprio potere di custodia del bene o in caso di rovina di edificio. Ma se tali danni derivano da un evento naturale catastrofale, e dunque da un caso fortuito, non si comprende neppure di quale responsabilità civile si possa il più delle volte concretamente discorrere.

Sono infine esclusi dalla copertura assicurativa i beni immobili che risultino gravati da abuso edilizio o costruiti in carenza delle autorizzazioni previste ovvero gravati da abuso sorto successivamente alla data di costruzione. Il che comunque era già desumibile dalla previsione, sia pure non cristallina, dell’articolo 1 comma 106 della legge 213.

LO SCHEMA DI UN CONTRATTO BASE?

Ci si chiede se tali esclusioni siano da considerarsi tassative o se le compagnie possano aggiungerne altre, derogarvi o comunque liberamente modulare l’estensione delle proprie soluzioni di copertura. La perentorietà della formula testuale usata dal dm, secondo il quale la “polizza assicurativa, stipulata ai sensi del presente decreto, non copre” le fattispecie oggetto di esclusione, fa propendere per la vincolatività delle esclusioni. È come se il decreto ministeriale definisse le coordinate del contratto base del rischio cat nat obbligatorio, coordinate che ciascuna impresa dovrebbe soddisfare nei prodotti di nuova commercializzazione attraverso i quali le imprese avranno adempiuto l’obbligo di coprirsi e le compagnie avranno soddisfatto l’obbligo a contrarre. 

Riecheggiando, mutatis mutandis, la struttura dell’obbligo a contrarre proprio della Rc auto, il dm sembra finalizzato a determinare i requisiti minimi della copertura obbligatoria che ciascun assicurato/cliente avrà il diritto di poter acquistare presso una compagnia attiva in quel settore di attività. Nulla vieta di estendere il perimetro di garanzia con altre coperture opzionali aggiuntive, a condizione che le stesse siano facoltative e non parte di soluzioni abbinate inscindibilmente connesse a quelle obbligatorie di base. 

NON È PERMESSA UNA NEGOZIAZIONE AL RIBASSO

Potrebbe dunque immaginarsi che il mercato possa proporre, accanto alla garanzia conforme al dm, altre coperture aggiuntive opzionali, volte a integrare il programma di protezione con altre garanzie a pagamento, ad esempio relative a beni diversi da quelli indicati dal decreto, a merci, a danni indiretti o a altre cause di danno altrimenti escluse.

Più complesso, invece, immaginare una riduzione del set di garanzie rispetto allo schema di legge. L’obbligo assicurativo persegue anche interessi pubblicistici superiori, volti a fornire alle imprese, per il tramite della mutualità assicurativa privata, un sostegno economico capace anche di alleggerire gli impegni della finanza pubblica in caso di catastrofi naturali. Quando il legislatore esige l’intervento assicurativo, ne fissa anche le coordinate di minima, in modo tale che la funzione di protezione sia assolta in modo coerente con gli obiettivi superiori di copertura posti a base della norma. Non pare perciò ammissibile diminuire lo spettro di garanzia, dal momento che la libera negoziazione al ribasso del perimetro assicurativo finirebbe per poter vulnerare la stessa funzione assicurativa predicata dal legislatore. Questo tema ci porta direttamente a occuparci di quello che può ritenersi il più grande elemento di novità del decreto rispetto alle previsioni di legge.

UN OBBLIGO A CONTRARRE… TEMPERATO

Abbiamo già fatto cenno ai complessi problemi di sostenibilità tecnica che rendono difficile l’assunzione di rischi dimensionalmente catastrofali. Tanto difficile da aver indotto il legislatore a escludere tale tipologia di danno (articolo 1912) dal perimetro naturale di copertura delle polizze. L’aumento degli eventi naturali di carattere calamitoso ha però imposto, anche a fronte dei recenti cambiamenti climatici che ne hanno favorito la diffusione, di ripensare al problema da una prospettiva in qualche modo rovesciata, sino a immaginare un sistema assicurativo obbligatorio che, potendo contare su una platea ampia di assicurati, fosse in grado di mutualizzare quei rischi, beneficiando anche di un contributo riassicurativo pubblico (Sace). In questo contesto, occorreva evitare che gli assicuratori, preoccupati dalla dimensione e dalla profondità dei rischi catastrofali naturali, rimanessero fuori dal mercato, per non andare in contro al rischio di andamenti tecnici negativi. A tal fine è stato introdotto un vero e proprio obbligo a contrarre, a imitazione (parziale) dell’analogo obbligo a contrarre posto a carico delle compagnie attive nel settore della Rc auto. E tuttavia, i rischi connessi agli eventi naturali, a differenza di quelli relativi alla Rc auto, appaiono molto più difficili da sopportare, specie quando riferiti a imprese produttive di grandissime dimensioni e soprattutto quando proposti, per la quotazione, a compagnie dalla limitata capacità sottoscrittiva. 

In certi casi limite, per intenderci, se una multinazionale con immobilizzazioni dal valore di centinaia di milioni di euro si rivolgesse a una compagnia di piccole dimensioni, pretendendo una quotazione dei propri rischi e facendo leva sull’obbligo a contrarre, si verrebbe a creare una situazione di stress insostenibile: l’impresa assicurativa potrebbe invero esaurire la sua capacità di sottoscrizione con quel solo cliente multinazionale, in un contesto assuntivo del tutto eccentrico perché non sostenuto da alcuna effettiva base mutualistica. 

IL CAMBIO DI ROTTA DEL DECRETO

Per tale ragione l’articolo 1 comma 105 della legge 213 ha previsto che il dm attuativo potesse intervenire anche sul fronte della sostenibilità assuntiva delle compagnie attive nel settore, modulando l’obbligo a contrarre in termini più alleggeriti e, di fatto, molto meno obbligatori

E così è stato, dal momento che il dm 18/2025 cambia rotta rispetto alle previsioni della legge primaria di riferimento, introducendo più di uno strumento utile a modulare in modo contenitivo il rischio concretamente sottoscrivibile e consentendo, perciò, alle compagnie assicurative di graduare il livello del loro impegno assuntivo.

Insomma, se si applicasse l’obbligo a contrarre con la stessa rigidità con la quale lo stesso viene applicato nella Rc auto, molte delle imprese attive nel settore (ramo 8) uscirebbero dal mercato, non potendo reggere l’urto di rischi potenzialmente troppo elevati per essere sostenuti.

Proprio per scongiurare tale eventualità il decreto attuativo relativizza l’obbligo a contrarre, escludendo che la compagnia debba sempre e comunque quotare e prendere in carico le proposte assicurative presentatele da qualunque assicurato. Al contrario l’articolo 5 prevede che gli assicuratori operanti nel settore definiscano preventivamente, con il sostegno del titolare della funzione attuariale, la loro propensione ad assumere rischi catastrofali “in coerenza con il fabbisogno di solvibilità globale delle stesse, fissando i relativi limiti di tolleranza al rischio”. Una volta superato il proprio limite di tolleranza al rischio l’impresa assicurativa cesserà l’assunzione di ulteriori rischi nell’intero territorio nazionale, dandone immediata informativa all’Ivass e ai terzi mediante pubblicazione sul sito web della compagnia. Potrà anche decidere, più radicalmente, di cessare ogni attività per superamento del limite di tolleranza al rischio, dandone anche in questo caso immediata informativa all’Ivass. Anche sotto il profilo soggettivo, in mancanza di un ramo esclusivamente dedicato alla copertura dei rischi obbligatori previsti dalla legge (a differenza della Rc auto) il dm limita l’assoggettamento all’obbligo di legge alle sole imprese che, abilitate all’esercizio in Italia del ramo 8 danni, già svolgano o comunque intendano svolgere “attività di sottoscrizione di contratti assicurativi, a livello singolo o di gruppo” aventi a oggetto gli specifici eventi e i danni precedentemente descritti. 

Pertanto le compagnie che, pur autorizzate all’esercizio del ramo 8, non siano entrate e non intendano entrare nel mercato cat nat potranno continuare a non farlo, e rifiutare le proposte loro eventualmente formulate.

LO SPAZIO DELLA PROPOSTA COMMERCIALE

Gli assicuratori che saranno invece tenuti a rispettare l’obbligo a contrarre dovranno rispondere a qualunque richiesta di quotazione, entro i citati limiti prestabiliti di tolleranza al rischio, mettendo a disposizione della potenziale clientela schemi assicurativi conformi al dm. Per quanto non espressamente previsto dal regolamento, deve ritenersi che l’obbligo a contrarre debba essere assolto senza forzare la clientela all’acquisto di soluzioni di garanzia diverse e più ampie di quelle disegnate dal regolamento. Ciascun assicurato dovrà poter acquistare una copertura di base, e l’assicuratore non potrà limitare la sua offerta a soluzioni che abbinino la formula standard ad altre integrazioni di garanzia. Ciò non significa che gli abbinamenti con supplementi di copertura non possano essere proposti: anzi, pare davvero opportuno che ciascun player di mercato sia in grado di fornire un set di coperture adeguato alle esigenze effettive della clientela e tale da consentirle di garantirsi dai rischi che il dm non contempla (merci, business interruption, grandine, ad esempio). Ma tali abbinamenti dovranno essere sempre e comunque facoltativi e rimessi alla libera scelta dei potenziali assicurati. 

È peraltro opportuno segnalare come la legge 213/2023 preveda che il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre siano puniti con sanzione amministrativa pecuniaria da 100mila a 500mila euro.

FRANCHIGIE, SCOPERTI, MASSIMALI E LIMITI DI INDENNIZZO 

Il temperamento della portata dell’obbligo a contrarre emerge anche da un altro aspetto della disciplina regolamentare, volto a consentire di limitare la portata dei singoli rischi attraverso la possibilità di introdurre in polizza, per certe fasce di clientela, limiti di copertura più o meno importanti (con conseguente ammissibilità del ricorso ad una parziale autoritenzione dei rischi cat nat).

Si tratta di una deviazione importante dal solco tracciato dalla norma primaria, la quale all’articolo 1 comma 104 ha stabilito che ai fini dell’adempimento dell’obbligo di assicurazione il contratto possa prevedere “un eventuale scoperto o franchigia non superiore al 15% del danno e l’applicazione di premi proporzionali al rischio”. 

Come a dire che quel rischio debba essere sicuramente preso in carico dall’assicurato per l’intera parte residua (non inferiore al 85%, al netto della riassicurazione di Sace). Il dm attuativo va invece in una direzione assai più lasca, consentendo di limitare in modo molto più ampio il livello di copertura dei rischi nei casi in cui l’impresa presenti requisiti dimensionali tali da lasciar supporre che possa essere in grado di gestirli (in parte) in via di autoritenzione. Mi riferisco, anzitutto, all’articolo 6 (Entità di danno indennizzabile a carico dell’assicurato) che per la fascia di imprese che debbano coprire beni per un valore superiore a 30 milioni di euro di somma assicurata, avuto riguardo al totale complessivo delle ubicazioni assicurate… (o comunque per le grandi imprese per come definite dal dm) le polizze assicurative possono prevedere percentuali di scoperto più ampie e per quote rimesse alla libera negoziazione delle parti.

L’articolo 7 regola invece i Massimali o limiti di indennizzo, dettando una disciplina tripartita in funzione dei diversi requisiti dimensionali delle imprese assicurate. E così a) per la fascia fino a un milione di euro di somma assicurata trova applicazione un limite di indennizzo pari alla somma assicurata; b) per la fascia da un milione a 30 milioni di euro di somma assicurata trova applicazione un limite di indennizzo non inferiore al 70% della somma assicurata.

Fermo l’obbligo di copertura assicurativa, per la fascia superiore a 30 milioni di euro di somma assicurata ovvero per le grandi imprese di cui all’articolo 1, comma 1, lettera o), la determinazione di massimali o limiti di indennizzo è rimessa alla libera negoziazione delle parti.

Al netto di quanto disposto dai commi 1 e 2 “per i terreni la copertura è prestata nella forma a primo rischio assoluto, fino a concorrenza del massimale o limite di indennizzo, pattuiti in misura proporzionale alla superficie del terreno assicurato”. Non si tratta di indicazioni cristalline, come non del tutto chiara è la disposizione contenuta nel comma 4, a mente della quale “per le polizze di cui al comma 1, lettera a), i contratti di assicurazione stipulati in forma collettiva anche per il tramite di convenzioni prevedono l’individuazione di classi di rischio a cui far corrispondere l’applicazione di massimali differenziati in relazione alle specifiche esigenze di copertura”. 

Non è invero agevole comprendere perché per quella fascia minore di rischio i massimali differenziati possano essere previsti solo nell’ambito di contratti collettivi (stipulati ad esempio da associazioni di categoria). 

Forse la ratio dell’inserimento di tali disposizione (in astratto disallineamento con la legge) va ricercata nell’esigenza da un lato di garantire il mantenimento delle coperture assicurative da parte delle grandi imprese (che nella maggior parte dei casi sono liberamente negoziate) e, dall’altro, di evitare comportamenti elusivi delle stesse, determinati dal trovarsi costrette a pagare un premio non indifferente anche per sedi di stabilimenti non esposti al medesimo rischio.

Va infine ricordato come gli indennizzi debbano essere corrisposti agli aventi diritti (come tra l’altro precisato dalla convenzione con Sace, approvata con i dm 18/2025) nei limiti del valore di ricostruzione, quanto ai fabbricati (intendendosi per tale l’importo necessario per la ricostruzione a nuovo del fabbricato con beni equivalenti per materiali, tipologia, caratteristiche costruttive, dimensioni e funzionalità; costo di rimpiazzo, relativamente a impianti e macchinari e attrezzature industriali e commerciali (valore necessario a sostenere i costi di sostituzione dei beni danneggiati con beni della medesima utilità, correntemente offerti sul mercato); dei costi di ripristino, in relazione ai terreni (valore necessario a sostenere i costi dei lavori di sgombero, bonifica e ripristino delle caratteristiche meccaniche e topografiche del terreno a una condizione pari a quella precedente all’evento assicurato).

TRASPARENZA DELL’OFFERTA ASSICURATIVA

L’articolo 8 del dm 18/2025 prevede che, al fine di garantire la trasparenza e la concorrenzialità delle offerte dei servizi assicurativi, nonché un’adeguata informazione alle imprese che devono adempiere all’obbligo di assicurazione, le imprese di assicurazione pubblichino sul proprio sito internet i documenti precontrattuali e contrattuali (tra cui le Cga) “secondo le modalità individuate dalla regolamentazione secondaria adottata dall’Ivass”. 

Con la stessa finalità, ma in modo più penetrante, la legge Concorrenza n. 193/2024 ha modificato l’articolo 1 della legge 213, inserendo il nuovo comma, che ha istituito un sistema di comparazione tra le soluzioni proposte dalle compagnie assicurative assoggettate all’obbligo a contrarre. La disposizione prevede che per consentire una scelta consapevole e informata degli assicurati, l’Ivass gestisca, se del caso avvalendosi della stessa piattaforma informatica già disponibile per la comparazione delle offerte Rc auto, un portale che consenta il confronto trasparente delle diverse condizioni dei contratti assicurativi reperibili sul mercato.

Il portale dovrà essere alimentato dalle compagnie indicando, nel rispetto delle prescrizioni di legge, le condizioni generali, le eventuali esclusioni e limitazioni. Il riferimento al carattere eventuale di tali previsioni sembra dunque lasciar libero spazio a una effettiva libertà, da parte delle imprese, di plasmare l’ambito di garanzia in modo più o meno completo. 

Nei limiti, ovviamente, di quanto si è detto a proposito del rispetto dell’obbligo a contrarre e della mera facoltatività di soluzioni abbinate integrativa della copertura assicurativa di base. E il tutto al netto degli ambiti di libera trattativa lasciati alle imprese di più grandi dimensioni, che ovviamente non potranno essere oggetto di aprioristica comparazione. 

NO A TARIFFE FLAT, SÌ ALLA PREVENZIONE

Quanto alle modalità di calcolo e adeguamento periodico dei premi, il dm 18 (articolo 4) prevede che gli stessi siano determinati “in misura proporzionale al rischio, anche tenendo conto della ubicazione del rischio sul territorio e della vulnerabilità dei beni assicurati, sulla base delle serie storiche attualmente disponibili, delle mappe di pericolosità o rischiosità del territorio disponibili e della letteratura scientifica in materia, e adottando, ove applicabili, modelli predittivi che tengono in debita considerazione l’evoluzione nel tempo delle probabilità di accadimento degli eventi e della vulnerabilità dei beni assicurati”. Il che esclude che possano essere previsti premi flat da applicare trasversalmente su tutto il territorio nazionale, per medesime categorie o tipologie di beni. 

Dovrà inoltre tenersi conto, altresì, in misura proporzionale alla conseguente riduzione del rischio, delle misure adottate dall’impresa, anche per il tramite delle organizzazioni collettive cui aderisce, per prevenire i rischi e proteggere i beni assicurati da calamità naturali ed eventi catastrofali. 

Si tratta di un principio che orienta in modo ormai quasi sistematico la moderna assicurazione danni, la cui funzione risarcitoria non appare più esclusiva e forse nemmeno prevalente, lasciando ampi spazi a quella di educazione e stimolo alla conoscenza, prevenzione e buon governo dei rischi da parte degli assicurati. 

Il loro impegno a contenere i fattori di rischio, oltre a essere socialmente utile e commendevole, viene dunque incentivato e premiato (un po’ come accade nel sistema bonus/malus della Rc auto e della Rc sanitaria) con vantaggi economici in sede di quotazione del rischio. Tanto più nell’ambito di sistemi obbligatoriamente assicurati. 

I TERMINI PER L’ADEGUAMENTO E LE SANZIONI

Il complesso lavoro di messa a terra della regolamentazione attuativa ha consumato molto del tempo che la legge 213/2023 aveva lasciato per consentire alle imprese e al mercato assicurativo di mettersi in regola in tempo utile per la data di decorrenza dei nuovi obblighi, precedentemente stabilita al 31 dicembre 2024. Per tale ragione la legge 15/2025, di conversione del dl Milleproroghe ha prorogato la data di entrata in vigore delle nuove norme al 31 marzo 2025. E per consentire al mercato assicurativo di farsi trovare pronto il dm attuativo ha previsto (articolo 11 comma 1) un regime transitorio che riduce a 30 giorni dalla pubblicazione del decreto (erano 90, nella prima versione in bozza del regolamento), il termine entro cui le compagnie di assicurazione dovranno adeguare alle prescrizioni regolamentari i loro prodotti di nuova emissione (“i testi di polizza”, dice il dm). 

L’incastro dei termini, e la pubblicazione del dm in Gazzetta Ufficiale, mira a consentire il rispetto teorico degli obblighi assicurativi, da parte delle imprese produttive non ancora assicurate, in tempo utile per non andar oltre la data del 31 marzo, superando così il rilievo formulato dal Consiglio di Stato circa l’inconciliabilità cronologica dell’obbligo di adeguamento delle polizze rispetto all’obbligo di stipula dei contratti. Certo la copertura, specie per le imprese di maggiore dimensione, dovrà essere oggetto di accurata trattativa, il che presuppone che le offerte conformi a norma debbano essere già oggi reperite sul mercato (e in effetti la maggior parte dei player assicurativi si è già, nella pratica, sostanzialmente adeguata alle prescrizioni regolamentari). 

Discorso diverso va fatto per le polizze già in essere al momento dell’entrata in vigore dell’obbligo, in relazione alle quali l’articolo 11, comma 2, rimasto invariato, prevede che l’adeguamento debba avvenire “a partire dal primo rinnovo o quietanzamento utile delle stesse”. Con tale disposizione sembra che il regolatore abbia voluto riferirsi al primo momento disponibile e utile di confronto contrattuale tra le parti, in occasione del quale adeguare la polizza alle nuove condizioni. E, tale momento viene individuato nel rinnovo o nel rilascio della quietanza, se precedente. E invero, per quietanzamento, in assenza di altre specificazioni, si intende ogni qualsivoglia atto di rilascio di una quietanza di pagamento, che comprende quelle quietanze rilasciate anche in corso di frazionamenti infra annuali del premio che, attestando il pagamento, evitano la sospensione della garanzia ex articolo 1901 c.c.  

Così al primo momento utile il contratto vigente dovrà essere allineato alle nuove previsioni di legge. Il che potrà avvenire, nel caso in cui la polizza già non rispetti lo schema di legge, o mediante una franca sostituzione del contratto o attraverso la stipula di appendici integrative (in relazione alle quali potrebbe non essere agevole comporre un programma di copertura integrato adeguato, mentre il cliente dovrebbe comunque poter confermare che il mantenimento di coperture diverse e ulteriori rispetto alle garanzie obbligatorie integrate continui a rispondere alle sue esigenze di garanzia). Non vi sarà, a parere di chi scrive, un vero e proprio obbligo di modifica unilaterale e automatica del contratto, proprio perché il cliente potrebbe diversamente orientarsi (ad esempio decidendo di assicurarsi altrove per le sole garanzie obbligatorie ipoteticamente non comprese nella polizza precedentemente stipulata). Sarà dunque il cliente a dover scegliere, ma la compagnia non potrà dar corso tout court a rinnovi automatici di coperture inadeguate, essendole quantomeno richiesto di informare la clientela dei mutati contesti obbligatori. È appena il caso di ricordare ancora una volta come l’ambito relativamente stretto di copertura del modello di legge consenta, e anzi renda opportuna, la proposta di soluzioni assicurative facoltative idonee a fornire uno spettro di garanzia più rassicurante (si pensi, ad esempio, agli eventi non coperti o alla protezione dal rischio di business interruption). L’adeguamento delle polizze in corso potrà peraltro avvenire anche prima del rinnovo e in occasione “primo quietanzamento utile”, espressione che sembra riferirsi a qualsiasi quietanza che, rilasciata anche in corso di frazionamenti infraannuali del premio, ne attesti il pagamento, evitando la sospensione della garanzia ex articolo 1901 c.c. 

LA PERDITA DI INCENTIVI E CONTRIBUTI

Al di là delle già citate sanzioni previste per le assicurazioni che non si conformino all’obbligo a contrarre, la legge 213 prevede particolarissime conseguenze sanzionatorie a carico delle imprese produttive che non adempiano all’obbligo di assicurarsi. Si tratta di conseguenze penetranti, dal momento che l’inadempimento potrebbe, ai sensi dell’articolo 1 comma 102 della legge 213/2023, comportare la perdita di contributi, sovvenzioni o sostegni finanziari pubblici (anche, ma non solo, con riferimento a quelli concessi in occasione di eventi catastrofali). Più precisamente è stabilito che dell’inadempimento dell’obbligo dovrà “tenersi conto” nell’assegnazione di tali agevolazioni pubbliche, ma cosa significhi “tener conto” non è affatto chiaro, potendo la sanzione andare dalla perdita integrale del contributo o dell’agevolazione a un suo riconoscimento soltanto parziale. Certo si tratta di conseguenze che appaiono, pur nella loro vaghezza, potenzialmente non trascurabili. Come del resto confermato, sia pur in modo non ancora definitivo (ma significativo sul piano delle intenzioni) dallo schema de dlgs del cosiddetto Codice degli incentivi, destinato a regolare e armonizzare la disciplina di carattere generale in materia di incentivi alle imprese, definendo i principi generali che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi che prevedono agevolazioni alle imprese medesime. Ebbene in tale schema è previsto che tra i motivi di esclusione (totale e niente affatto parziale) dalle agevolazioni vi sia (articolo 9 ultimo comma) “l’inadempimento dell’obbligo di stipula di contratti assicurativi a copertura dei danni previsto dall’articolo 1, comma 101, della legge 30 dicembre 2023, n. 213”. E se tale disposizione rimanesse confermata anche nella versione finale della norma, l’apparato cogente e sanzionatorio dei nuovi obblighi assicurativi ne uscirebbe sensibilmente rinforzato. 

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