Sentenza giudice: comunicazioni e informative antimafia hanno identica soglia di esenzione


Il CGA ha accolto  l’appello, proposto da un caseificio di Castellamare del Golfo, annullando i provvedimenti interdittivi emessi dalla Prefettura di Trapani.

Il caso

Un caseificio, con stabilimento nel territorio del Comune di Castellamare del Golfo (TP), nel 2015 subiva la revoca, da parte del Dipartimento Prevenzione Veterinaria presso l’ASP di Trapani, delle autorizzazioni sanitarie relative ad una serie di mezzi necessari per lo svolgimento della propria attività casearia.

La ragione della revoca risiedeva in una precedente comunicazione, della Prefettura di Trapani, avente ad oggetto una informativa antimafia a carico della società titolare del caseificio.

Il ricorso al TAR

Avverso tale provvedimento interdittivo e i provvedimenti di revoca delle autorizzazioni, la società titolare del caseificio proponeva un ricorso giurisdizionale avanti al TAR-Sicilia di Palermo.

Questo, con ordinanza del giugno del 2015, accoglieva la domanda cautelare proposta dalla ditta ricorrente, sospendendo il provvedimento impugnato, alla luce delle sopravvenienze in sede penale, ed ordinava alla Prefettura di Trapani rivedere il proprio convincimento in ragione di tali fatti.

Nondimeno, la Prefettura di Trapani emanava una nuova informativa interdittiva nei confronti della ditta titolare del caseificio, fondata sugli stessi elementi di fatto del precedente provvedimento, che veniva impugnata con motivi aggiunti innanzi TAR –Sicilia di Palermo.

Ma questo, con sentenza del 2023, rigettava il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti dalla società casearia.

L’appello al CGA

Ritendo erronea tale pronuncia, la società titolare del caseificio, con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino, proponeva un ricorso in appello innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

In particolare, gli avvocati Rubino e Marino rilevano l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva tenuto conto del fatto che l’informativa interdittiva ex art. 89-bis poteva essere emanata nelle sole ipotesi in cui, oltre ad essere accertati i tentativi di infiltrazione mafiosa, fosse stata anche accertata la sussistenza delle cause di decadenza di cui all’articolo 67 del cod. antimafia (precedenti misure di prevenzione).

La difesa della società ricorrente

La difesa della società ricorrente, inoltre, deduceva in giudizio la sussistenza di un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza e confermato di recente anche dalla Corte Costituzionale.

In base a tale orientamento, sussiste una distinzione tra la “comunicazione antimafia” (richiesta in tema di provvedimenti autorizzatori e attestante la sussistenza o meno di cause di decadenza, di sospensione e di divieto di cui all’art. 67, derivanti dall’adozione di misure di prevenzione, o di sentenze di condanna) e  la “informativa antimafia” (richiesta invece in tema di commesse  e contributi pubblici e comprendente, oltre alle suddette ipotesi, anche l’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese). Tuttavia, le due diverse tipologie di documentazione, con l’introduzione dell’art. 89-bis del codice antimafia, avrebbero dovuto ritenersi ormai equiparate e conseguentemente, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina, occorre tenere conto anche in materia di comunicazioni antimafia delle soglie al di sotto delle quali non può essere prevista la verifica antimafia .

Più nel dettaglio, gli avvocati Rubino e Marino rilevavano in giudizio che la fattispecie in esame, riguardante un provvedimenti autorizzatorio relativo a iniziative commerciali o imprenditoriali aventi valore economico al di sotto delle soglie previste per la richiesta dell’informativa  antimafia, non avrebbe dovuto essere assoggettata alla verifica prefettizia finalizzata al rilascio della comunicazione antimafia e dunque, nel caso di specie, la Prefettura di Trapani non avrebbe potuto adottare il provvedimento  interdittivo nei confronti della ditta titolare del caseificio.

La sentenza del CGA

Ebbene, con sentenza del 22.04.2025, condividendo le tesi difensive sostenute dagli avvocati Rubino e Marino, il CGA ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza resa dal TAR Sicilia di –Palermo, ha accolto il ricorso di primo grado ed ha annullato i provvedimenti impugnati.

Pertanto, per l’effetto di tale pronuncia resa dal CGA, il Caseificio operante nel Comune di Castellamare del Golfo potrà continuare ad esercitare la propria attività di impresa.

 

 

 

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